PATOLOGIE PALPEBRALI


CALAZIO


Il calazio è un'infiammazione cronica a carico delle ghiandole sebacee di Meibomio localizzate lungo l'intero spessore delle palpebre inferiori e superiori. Tipici di blefariti, seborrea ed acne rosacea, i calazi si distinguono facilmente dalle altre patologie oculari per la formazione di una lesione cistica in corrispondenza della ghiandola coinvolta nell'infezione. Quando l'infiammazione interessa più di una ghiandola di Meibomio, si parla precisamente di calaziosi. La principale causa del calazio va ricercata in un'infiammazione oculare, responsabile della chiusura del dotto escretore delle ghiandole di Meibomio (piccoli organi secretori deputati alla produzione del sebo lacrimale). La chiusura del dotto escretore di una o più di queste ghiandole favorisce la ritenzione del pus al loro interno: il secreto prodotto, infatti, non trovando una via di fuga verso l'esterno, si accumula esageratamente all'interno del dotto ghiandolare fino a dare origine ad un piccolo nodulo (granuloma) molto simile ad una cisti. Di certo, la crescita del calazio è correlata ad un processo infiammatorio: quello che gli esperti non sono ancora riusciti a spiegare è perché le ghiandole di Meibomio subiscono questo blocco. Sono state formulate alcune ipotesi basate essenzialmente sull'osservazione e sull'analisi di segni, sintomi e malattie correlate dei pazienti affetti da calazio. La cisti caratteristica è stata più volte analizzata negli individui colpiti da acne rosacea, orzaiolo, blefarite (infiammazione della palpebra) ed altre malattie della pelle come l'eczema. La cisti caratteristica del calazio ha una natura quasi sempre benigna: la possibilità che la cisti nasconda una lesione cancerogena è un evento estremamente raro. Il più delle volte, i pazienti colpiti da calazio non accusano sintomi rilevanti: più che di dolore, la cisti può procurare una spiacevole sensazione di appesantimento palpebrale, specie quando il calazio raggiunge dimensioni considerevoli. L'eventuale presenza di dolore, arrossamento ed iperlacrimazione che accompagna il calazio trova la più probabile spiegazione in un insulto batterico o, meno spesso, virale. Quando dipende dalla blefarite, il calazio può formare piccole crosticine tra le ciglia, fino a provocare prurito. Sebbene siano stati segnalati alcuni casi di risoluzione spontanea, il trattamento più indicato per rimuovere completamente il calazio è la chirurgia. Quando necessario, l'intervento chirurgico può essere supportato da una terapia topica consistente nell'applicazione di pomate oftalmiche/colliri cortisonici (per sfiammare) e/o farmaci antibiotici per combattere o prevenire un'eventuale infezione. Alcuni pazienti affetti da calazio, tuttavia, guariscono con la semplice applicazione di farmaci specifici direttamente nell'occhio, senza ricorrere alla chirurgia.


Calzaio- Dr.ssa Adriana Iuliano
Calzaio- Dr.ssa Adriana Iuliano

PTOSI PALPEBRALE O BLEFAROPTOSI


La ptosi palpebrale (o blefaroptosi) è un anomalo abbassamento di una o di entrambe le palpebre superiori, per cui la rima palpebrale è di ampiezza ridotta o assente. La ptosi palpebrale può essere congenita, quando presente dalla nascita, o acquisita. Le cause possono essere diverse: la ptosi neurogena è dovuta a un deficit di innervazione del muscolo elevatore della palpebra superiore, la ptosi miogena è dovuta a varie patologie che inficiano direttamente la funzione del muscolo elevatore, la ptosi aponeurotica è dovuta a un difetto nell’aponeurosi del muscolo elevatore ed infine la ptosi meccanica, dovuta ad un impedimento dell’elevazione della palpebra, determinato dalla presenza di masse o cicatrici. La ptosi nei bambini può essere causa di ambliopia (occhio pigro) e per tale motivo richiede frequentemente un trattamento. I pazienti adulti con ptosi palpebrale possono avere difficoltà nella vita quotidiana, e nei casi più gravi, possono addirittura aver bisogno di utilizzare le dita per sollevare le palpebre e mantenere gli occhi aperti. La terapia di scelta della ptosi palpebrale è l’intervento chirurgico. Esistono diversi tipi di interventi chirurgici, la scelta dipende dal grado di funzione del muscolo elevatore e dal grado di ptosi. Se la funzionalità è buona o quantomeno accettabile, si esegue un intervento di “rinforzo” dell’elevatore palpebrale (attraverso una resezione muscolare, o un avanzamento dell’elevatore sul tarso), mentre se la funzionalità è scarsa, allora si opta per un intervento di sospensione della palpebra al muscolo frontale.


Dr.ssa Adriana Iuliano
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ENTROPION

L’entropion consiste nell’inversione del margine libero della palpebra inferiore e/o superiore e comporta il conseguente contatto delle ciglia con il bulbo oculare. Il contatto delle ciglia con la cornea causa dolore e provoca costantemente delle lesioni superficiali a carico della congiuntiva e della cornea che possono talvolta complicarsi anche con lesioni severe. I principali sintomi sono la sensazione di irritazione oculare e di corpo estraneo e la lacrimazione. L’entropion di solito è acquisito, il più delle volte si osserva in età senile in relazione a processi involutivi che indeboliscono le strutture palpebrali ed i loro tendini. Meno frequentemente può essere spastico, causato da un’irritazione oculare, da un trauma chirurgico o dal blefarospasmo. Raramente è cicatriziale per contrazione della congiuntiva o per ispessimento ed incurvamento dello scheletro cartilagineo della palpebra a causa di malattie autoimmunitarie o traumatismi (ustioni, causticazioni, traumi lacero-contusi, ecc). Molto raramente è congenito. Il trattamento dell’entropion è chirurgico, l’intervento viene eseguito in day hospital in anestesia locale.
Dr.ssa Adriana Iuliano
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ECTROPION

L’ectropion consiste nell’eversione del margine libero della palpebra inferiore che perde il contatto con il bulbo oculare. Il mancato contatto con la cornea provoca l’esposizione e quindi la mancata protezione della superficie oculare ed inoltre la difficoltà di allontanare le lacrime dal fornice congiuntivale. I principali sintomi conseguenti all’esposizione della congiuntiva e della cornea sono la lacrimazione, l’eczema della cute palpebrale, l’irritazione oculare, la sensazione di corpo estraneo e, negli stadi più avanzati, la cheratite da esposizione. L’ectropion di solito è acquisito, il più delle volte si osserva in età senile in relazione a processi involutivi che indeboliscono le strutture palpebrali ed i loro tendini. Meno frequentemente è cicatriziale per carenza di cute, per traumi, per ustioni o alterazioni dermatologiche. Può anche essere paralitico per paralisi del nervo faciale e meccanico per il peso esercitato sul bordo da neoformazioni palpebrali. La correzione è chirurgica. L’intervento viene eseguito in day hospital, in anestesia locale. Le palpebre sono molto importanti per la protezione dell’occhio contro gli agenti esterni e possibili traumi. Oltretutto svolgono un ruolo fondamentale nell’espressione facciale.

Dr.ssa Adriana Iuliano
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BLEFAROPLASTICA

Con il passare del tempo, diversi fattori come l’esposizione alla luce solare, il tipo di alimentazione, il consumo di alcol e tabacco, e fattori ereditari, contribuiscono al deterioramento della pelle delle palpebre provocando la loro “caduta”, oltre che la comparsa di rughe o di borse ( a causa del progressivo ridursi del contenuto di acqua a livello del grasso perioculare).
Una delle principali procedure chirurgiche di tipo estetico realizzata nella pratica oftalmologia è la blefaroplastica, procedimento attraverso cui si riducono le “borse” e la lassità dei tessuti delle palpebre superiori ed inferiori cercando di ottenere un ringiovanimento dello sguardo.
Le incisioni chirurgiche vengono praticate lungo le linee naturali delle palpebre o, in alcuni casi, per via congiuntivale (dall’interno) per evitare cicatrici o comunque per far sì che queste siano appena visibili.
Il procedimento consiste nella rimozione del tessuto palpebrale in eccesso (che sia pelle, grasso o muscolo orbicolare).
a chirurgia si realizza ambulatorialmente con anestesia locale e sedazione assistita per un maggior confort del paziente. Quando si incide la pelle, le cicatrici nell’immediato post-operatorio appaiono rossastre, per poi divenire man mano più impercettibili. È normale che ci siano infiammazione ed ematomi che scompaiono nel giro di una-due settimane.
Solitamente, dopo la chirurgia, si raccomanda al paziente riposo con il capo sollevato e soprattutto l’applicazione di ghiaccio durante i primi tre giorni per ridurre l’infiammazione.
Il risultato finale dipende da numerosi fattori, inclusi l’estensione dell’area da trattare, la struttura e la qualità della pelle del paziente, così come l’età e la predisposizione o meno a sviluppare cheloidi. In linea di massima il paziente può riprendere le proprie attività nel giro di una settimana e la sutura può essere rimossa dal quinto giorno postoperatorio.
Si tratta comunque di un procedimento chirurgico delicato con possibili ripercussioni sulla funzione visiva, per cui è auspicabile che venga svolto da medici oftalmologi specialisti in chirurgia oculoplastica.




Dr.ssa Adriana Iuliano
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TUMORI PALPEBRALI

Le neoformazioni palpebrali possono presentarsi in ogni distretto palpebrale, incluse le zone di giunzione tra palpebra superiore ed inferiore (canti). Possono coinvolgere il solo margine palpebrale, oppure risparmiarlo, o estendersi verso i margini orbitari ed anche coinvolgere le regioni perioculari e l’orbita. Sono di più frequente riscontro le neoformazioni benigne o a bassa malignità. Il basalioma (carcinoma basocellulare) che origina dallo strato basale dell’epidermide, rappresenta la più comune neoplasia maligna palpebrale. Il carcinoma squamocellulare, che origina dallo strato spinoso dell’epidermide rappresenta circa il 5% dei casi totali. Altre lesioni si presentano con una bassa incidenza; tra queste: il carcinoma sebaceo, il melanoma, il tumore di Merkel, il linfoma, ed i tumori metastatici. Il comportamento clinico delle neoplasie palpebrali è estremamente diverso a seconda della grandezza della lesione, della localizzazione e delle caratteristiche istologiche. L’obiettività della lesione e gli eventuali segni associati permettono generalmente di discriminare le caratteristiche tipiche di una lesione benigna da quelle di una lesione maligna. Caratteristiche che fanno orientare il medico per il carattere maligno della lesione sono in genere: i margini irregolari, le teleangectasie (dilatazione di piccoli vasi superficiali), le ulcere, la crescita e le modificazioni recenti, l’indurimento dei tessuti, la perdita delle ciglia, l’interessamento dei linfonodi locoregionali. Tuttavia non sempre l’obiettività clinica è dirimente ed è necessario per la diagnosi l’esecuzione dell’esame istopatologico successivamente alla asportazione di una parte (biopsia incisionale) o di tutta la neoformazione (biopsia escissionale). In rari casi – più frequentemente in caso di biopsia incisionale – l’esame istologico potrebbe fornire risultati non dirimenti. L’asportazione chirurgica rappresenta l’opzione terapeutica principale. L’obiettivo dell’intervento, per le neoformazioni con sospetto di malignità, consiste nella escissione della neoformazione al fine di garantire, ove possibile, la radicalità. Di regola si esegue un esame istologico dei tessuti asportati. Si può procedere contestualmente all’intervento di escissione ad una adeguata ricostruzione palpebrale con tecniche chirurgiche da adattare ad ogni singolo paziente. Talvolta si preferisce eseguire la ricostruzione in un tempo successivo, con un secondo intervento. L’intervento viene eseguito in un ambiente sterile autorizzato per l’esecuzione di tale tipo di chirurgia; l’anestesia può essere locale o generale, in relazione alla estensione della lesione, al tipo di intervento programmato ed alle condizioni sistemiche valutate insieme all’anestesista.

Dr.ssa Adriana Iuliano
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OSTRUZIONE DELLE VIE LACRIMALI

L’ostruzione delle vie lacrimali è un fenomeno abbastanza comune nella popolazione generale e può interessare sia adulti sia bambini. Si tratta di una patologia significativamente più frequente nel sesso femminile, una spiegazione di tale fenomeno può essere ricercata nella documentata diversità di calibro della parte intraossea del canale nasolacrimale che lo rende, nella donna, più suscettibile a restringimenti o occlusioni. Tale situazione può essere secondaria anche a pregressi interventi chirurgici sul naso o pregresse fratture del naso ma nella maggior parte dei casi la causa che determina l’ostruzione non è nota. L’ostruzione determina fenomeni di stasi delle lacrime che provocano lacrimazione, infiammazione e favoriscono la colonizzazione da parte di microrganismi commensali. Il sintomo cardine è l’eccesso di lacrime (epifora) che rende la visione del paziente offuscata; in assenza di terapia si può andare incontro ad un accumulo di muco-pus nel sacco lacrimale, che diviene rigonfio, arrossato e dolente (dacriocistite). Ai fini diagnostici ma soprattutto terapeutici le vie lacrimali sono distinte in alte vie lacrimali, comprendenti i puntini lacrimali, i canalicoli lacrimali ed il canalicolo comune, ed in basse vie lacrimali, con il sacco lacrimale ed il dotto naso lacrimale. L’ostruzione delle alte vie lacrimali può esser dovuta da mal posizioni palpebrali (ectropion), fenomeni infiammatori sia di tipo infettivo sia autoimmunitario, patologie neoplastiche, cause iatrogene o traumi. L’ostruzione delle basse vie lacrimali è nell’80% dei casi di tipo idiopatico, si parla infatti di PANDO (Primary acquired nasolacrimal duct obstruction) come un’infiammazione aspecifica vascolare, più frequente nelle donne, che causa alterazioni del plesso venoso determinando un’atrofia progressiva del sacco lacrimale. L’ostruzione delle vie lacrimali causa dunque la dacriocistite, caratterizzata da dolore, arrossamento ed edema dei tessuti perisaccali. Per effettuare la diagnosi di un’ostruzione delle vie lacrimali ci si avvale del test della digitopressione del sacco, la cui positività rappresenta un’indicazione alla terapia chirurgica, ed il test dell’irrigazione delle vie lacrimali, effettuata in ambulatorio che comporta nessuna particolare controindicazione. La terapia è chirurgica e consiste nell’intervento di dacriocistorinostomia ab externo (ex-DCR), che eseguita da uno specialista oftalmolplastico, assicura un tasso di successo pari al 95-98%. L’intervento prevede un’incisione di 10 millimetri sul lato del naso, che nella maggioranza dei casi non lascia cicatrici. Tramite questa incisione si procede alla costruzione di una nuova via di deflusso delle lacrime con il posizionamento di un tubicino di silicone, che rimarrà in sede per circa 1-6 mesi, senza alcun fastidio per il paziente. L’intervento è svolto nella maggior parte dei casi in anestesia locale e prevede due giorni di ricovero. Quando possibile l’intervento di dacriocistorinostomia si può effettuare per via endoscopica, tecnica meno invasiva ma con percentuale di successo lievemente più bassa.

PATOLOGIA ORBITARIA


ORBITOPATIA TIROIDE-CORRELATA

Cos’è il Morbo di Basedow-Graves?
E’ una malattia autoimmune caratterizzata dal fatto che le cellule (linfociti) preposte alla difesa dell’organismo dalle infezioni ed alla regolazione dei meccanismi infiammatori, agiscono in maniera impropria attaccando diversi organi bersaglio. A livello della ghiandola tiroidea si scatena un processo infiammatorio ad etiologia sconosciuta, che attiva la produzione di ormoni in maniera incontrollata, dando luogo ad un ipertiroidismo.
In che modo vengono colpiti gli occhi?
L’orbita è una cavità ossea contenente il bulbo oculare, i muscoli extraoculari, il grasso orbitario, i nervi ed i vasi sanguigni dell’occhio. A livello orbitario sono presenti delle cellule che possiedono la stessa proteina che si trova anche a livello tiroideo, per cui rappresentano il bersaglio dei linfociti che scatenano pertanto l’infiammazione a livello dei muscoli, del grasso orbitario e dell’area perioculare palpebrale. L’infiammazione e l’edema (accumulo di liquido) che si producono a livello di questi tessuti, fanno in modo che ci sia un aumento di volume del grasso e dei muscoli extraoculari, che determina a sua volta la comparsa di esoftalmo (protrusione del bulbo oculare) e la difficoltà a compiere i movimenti oculari (comparsa di visione doppia, ovvero diplopia).
Qual è la prognosi?
Sebbene ogni paziente abbia un’evoluzione differente, l’orbitopatia tiroidea ha una prognosi migliore in pazienti giovani e di sesso femminile, mentre si presenta con maggiore severità negli uomini e nelle persone di età più avanzata. Le donne sono prevalentemente colpite da questa malattia, ma non è infrequente che vengano colpiti gli uomini. Il fumo di sigaretta rappresenta un fattore prognostico negativo, ed è stato dimostrato che i fumatori hanno un decorso più lungo e rispondono in misura minore alle terapie rispetto ai non fumatori. Un fattore prognostico positivo è invece la diagnosi precoce della malattia, perché si ottiene una migliore risposta al trattamento con corticosteroidi. Per questo motivo sarebbe auspicabile che durante le prime settimane di malattia, quando sono evidenti i segni infiammatori (edema palpebrale, lacrimazione, visione offuscata, congiuntivite cronica ecc.), il paziente venga visto da un oculista specialista in patologia orbitaria e da un endocrinologo, per trattare la patologia tiroidea, tenendo presente che inizialmente gli esami ormonali tiroidei possono risultare anche normali.
Perché il fumo di sigaretta e lo stress sono fattori prognostici negativi?
Il tabacco contiene innumerevoli sostanze chimiche, alcune neanche conosciute. E’ noto che le cellule che vengono attaccate dai linfociti, sono in grado di aumentare il numero di proteine o di antigeni di superficie quando si trovano in un microambiente contenente catrame, con conseguente aumento dell’infiammazione. In condizioni di bassa tensione di ossigeno i processi infiammatori tendono a cronicizzare e diventano più difficilmente controllabili, perché viene prodotto un maggior numero di sostanze infiammatorie, e si sa che il fumo di sigaretta riduce la tensione di ossigeno. Gran parte dei meccanismi etiopatogenetici che mettono in relazione il fumo di sigaretta con una prognosi peggiore nell’Orbitopatia tiroidea resta sconosciuta, ma è buona norma consigliare ai pazienti di smettere di fumare.
Lo stress, poi, non solo è un fattore scatenante l’ipertiroidismo, ma influisce negativamente il decorso della malattia.
Quali sono i sintomi?
Il coinvolgimento oculare può presentarsi prima, durante o dopo la comparsa delle manifestazioni sistemiche della malattia tiroidea ( e comunque possono essere colpiti non solo pazienti ipertiroidei, ma anche, seppur più raramente, ipotiroidei o eutiroidei senza manifestazioni sistemiche). I segni ed i sintomi precoci sono molto aspecifici, il paziente lamenta “fastidio”agli occhi, gonfiore palpebrale, lacrimazione, sensazione di avere la sabbia negli occhi, intolleranza ad agenti atmosferici come vento e sole, come se avesse una congiuntivite. Con il passare del tempo inizia a lamentare visione offuscata, specialmente difficoltà nella messa a fuoco nella lettura, e inizia a notare, soprattutto al risveglio mattutino, le palpebre gonfie e le borse sotto gli occhi (questi segni tendono a migliorare nel corso della giornata). Se la malattia progredisce, il paziente nota che gli occhi sono più aperti e più sporgenti (proptosi o esoftalmo)-magari osservando fotografie precedenti in cui gli occhi erano normali-, ed inoltre possono comparire visione doppia e dolore ai movimenti oculari. In alcuni pazienti l’infiammazione è minima e si nota solo l’esoftalmo.
Quali sono i rischi?

L’orbitopatia tiroidea può presentarsi con minimi o evidenti sintomi di attività infiammatoria, dando luogo a diversi quadri clinici che causeranno minori o maggiori alterazioni oculari. Le conseguenze più gravi possono essere la perdita della vista per compressione del nervo ottico o per cheratopatia da esposizione (si può arrivare alla perforazione della cornea); in questi casi c’è indicazione al trattamento chirurgico urgente di decompressione orbitaria, oltre che al controllo della malattia con terapia farmacologica. Le conseguenze più comuni dell’orbitopatia consistono invece nella comparsa di visione doppia e di esoftalmo o retrazione palpebrale. Le palpebre si alterano perché si aprono eccessivamente, gli occhi diventano sporgenti e spesso i pazienti, soprattutto le donne, cadono in depressione perché si vedono completamente trasformati dalla malattia. Tutte queste alterazioni possono essere corrette chirurgicamente una volta ottenuto il controllo metabolico della patologia tiroidea e una volta controllata l’infiammazione con corticosteroidi ad alti dosaggi e/o radioterapia. È importante sottolineare che alcune delle alterazioni prodotte dalla malattia, come la retrazione palpebrale, l’esoftalmo e lo strabismo restrittivo, necessitano di correzione chirurgica (riabilitazione chirurgica dei pazienti). In cosa consiste la terapia?
E’ fondamentale, per il trattamento dell’orbitopatia tiroidea, un adeguato controllo dell’ipertiroidismo per evitare alterazioni ormonali che possono causare episodi acuti di iper o ipotiroidismo, per cui il controllo endocrinologico è di estrema importanza. L’orbitopatia deve essere trattata più precocemente possibile. Se c’è attività infiammatoria il trattamento è medico, con corticosteroidi preferibilmente in bolo (endovenoso), evitando se possibili terapie per via orale prolungate che favoriscono la comparsa degli effetti collaterali del cortisone (aumento di peso, ipertricosi, ipertensione, diabete). Quando non c’è risposta al cortisone, è indicato il trattamento con altri farmaci immunosoppressori ( ciclosporina, methotrexate) o, in casi selezionati, la radioterapia. Quando l’orbitopatia è in fase non attiva e non c’è infiammazione, il trattamento consiste nella riabilitazione chirurgica del paziente (correzione chirurgica dell’esoftalmo, dello strabismo, della retrazione palpebrale)
La chirurgia lascia cicatrici?

No, le più recenti vie di approccio per la decompressione orbitaria ( che ha lo scopo di far rientrare gli occhi nell’orbita) si realizzano per via transcongiuntivale (dall’interno) o attraverso piccole incisioni nella piega palpebrale superiore per cui esteticamente non lasciano cicatrici o ne lasciano di impercettibili. La chirurgia decompressiva ha lo scopo di aumentare lo spazio all’interno dell’orbita per permettere all’occhio di rientrarvi, e prevede l’asportazione di osso o di grasso. Anche la chirurgia dello strabismo e quella palpebrale solitamente non lasciano cicatrici.

Dr.ssa Adriana Iuliano
Dr.ssa Adriana Iuliano
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Dr.ssa Adriana Iuliano
Dr.ssa Adriana Iuliano
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NEOFORMAZIONI ORBITARIE

L’orbita comprende l’insieme delle strutture ossee orbitarie, il bulbo oculare, i muscoli responsabili dei movimenti oculari, il nervo ottico, i fasci vascolo-nervosi, ed il tessuto adiposo che riempie gli spazi tra tutte queste strutture. Ogni parte anatomica dell’orbita può essere interessata da una crescita cellulare anomala per localizzazione e per natura. Le neoformazioni orbitarie possono svilupparsi sia in età adulta che nell’infanzia; sono di più frequente riscontro le neoformazioni benigne o a bassa malignità. Nei bambini la maggior parte delle masse orbitarie è il risultato di anomalie di sviluppo, come ad esempio le cisti dermoidi. Negli adulti sono relativamente comuni le neoformazioni vascolari benigne, come l’emangioma cavernoso. A volte è necessario escludere la presenza di una neoplasia maligna prelevando un campione di tessuto neoformato, o di porre diagnosi differenziale tra una malattia infiammatoria ed una sospetta neoplasia. Talvolta neoformazioni a partenza da strutture circostanti come le cavità sinusali, il cervello e le cavità nasali possono invadere per contiguità la regione orbitaria. Sono anche possibili localizzazioni secondarie di altre neoplasie. La crescita di una neoformazione orbitaria può determinare: Esoftalmo progressivo (protrusione del bulbo oculare). Dolore.Diminuzione del visus.Alterazioni della sensibilità della zona perioculare. Diplopia (visione sdoppiata). Arrossamento e tumefazione della regione orbitaria e delle palpebre. La presenza di una massa palpabile o direttamente visibile al di sopra o al di sotto delle palpebre o nello spazio tra bulbo e palpebre.
Quando viene diagnosticata una neoformazione orbitaria, o vi è il sospetto di una patologia eteroformativa dell’orbita, è necessario eseguire degli esami radiologici (TAC e/o RMN); in alcuni casi può essere utile eseguire un’ecografia orbitaria o altri esami specifici. L’esame clinico associato ai risultati di questi esami permette generalmente di formulare un’ipotesi diagnostica più precisa. È necessario un prelievo di tessuto per formulare una diagnosi di certezza. In base al risultato dell’esame istologico si potrà valutare, a seconda del tipo di neoformazione presente, la necessità di ulteriori consulenze specialistiche e di successivi approcci terapeutici come un ulteriore intervento chirurgico, la radioterapia o la terapia medica. Trattamento chirurgico Lo scopo dell’intervento chirurgico di orbitotomia consiste nella rimozione completa o parziale della lesione orbitaria, laddove possibile e/o necessario, o nell’ottenere una quantità di tessuto tale da rendere possibile la diagnosi istopatologica della lesione. L’intervento viene eseguito in un ambiente sterile (sala operatoria), normalmente in anestesia generale. È possibile utilizzare l’anestesia locale con sedazione in alcuni casi. L’incisione chirurgica si effettua solitamente in corrispondenza di pieghe cutanee già esistenti: piega palpebrale superiore o inferiore, sopracciglio, etc. Esistono anche delle vie d’accesso congiuntivali, che non lasciano una cicatrice visibile (la congiuntiva è la mucosa che riveste il bulbo oculare e la faccia interna delle palpebre). Per accedere ad una lesione più posteriore, cioè situata più in profondità nell’orbita, la via di accesso è più complessa: generalmente si deve rimuovere parte delle strutture ossee per arrivare alla zona interessata (di solito si asporta la parete ossea laterale, che viene poi riposizionata).
Dr.ssa Adriana Iuliano
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